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Dieta Chetogenica e Autismo
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Lavoro dal 2012 con ragazzi autistici in qualità di insegnante di sostegno, dal 2014 ho
introdotto nei miei studi di nutrizione umana, dapprima per gestire la perdita di peso veloce
in soggetti idonei e più recentemente per soggetti emicranici o con cefalea a grappolo, le
diete chetogeniche. In questi anni non ho contato le volte in cui mi sono chiesta se e come
avrebbe potuto esser d’aiuto l’adozione di un regime chetogenico a uno dei tanti ragazzi
che ho avuto la fortuna di accompagnare nel percorso scolastico in questi anni. Oggi è il 2
aprile, Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo, e ho deciso di scrivere
sull’argomento per farmi chiarezza e mettere nero su bianco alcune idee che negli anni ho
raccolto sperando che una ricerca scientifica mirata in questa direzione si faccia sempre
più strada.
Il disturbo dello spettro autistico (AsD) è un gruppo di disordini complessi che coinvolgono
lo sviluppo neuronale. E’ caratterizzato da deficit persistenti nella comunicazione sociale
nonché nelle interazioni in contesti complessi e da modelli di comportamento e interessi
ristretti e ripetitivi. E’ una patologia che può coinvolgere anche diversi altri organi oltre al
sistema nervoso, come il tratto gastrointestinale, il sistema immunitario, epatico ed
endocrino [1-3]. I casi in Italia sono in progressivo aumento, secondo l’Osservatorio
nazionale dell’Istituto superiore di Sanità, la stima è di un bambino ogni 77 e questo è
dovuto da un lato al miglioramento degli strumenti diagnostici e dall’altro a una maggiore e
crescente consapevolezza [4]. Il trend mondiale non è più rassicurante, si stima che 1
persona su 160 sia affetta da autismo e che esistano paesi in cui il dato sia estremamente
sottostimato [5]. Si parla di “spettro” autistico perché è un disturbo che presenta
eterogeneità sotto diversi punti di vista: la forchetta dei disordini a carico del linguaggio,
per esempio, varia dalla difficoltà dell’uso pragmatico del linguaggio, alla completa
mancanza di linguaggio parlato; anche le comorbidità sono disomogenee e includono tutta
una serie di condizioni neurologiche (epilessia, disturbi del sonno, depressione, ansietà,
irritabilità, deficit dell’attenzione, etc) e fisiche molto varie. Attualmente, possono essere
alleviate solo le manifestazioni in comorbilità al disturbo ma non i sintomi strettamente
associati alla patologia [6-7]. L’eziologia del disturbo non è ancora stata del tutto chiarita,
nonostante le molte ricerche, l’unica cosa certa che si può asserire è che concorrono
all’insorgenza la predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali.
Data la combinazione di diversi fattori all’instaurarsi dell’Asd è stato ipotizzato che questi
suscitino esiti evolutivi della patologia modulando un comune nodo che, se perturbato, può
portare allo sviluppo di uno spettro autistico [8]. Uno dei principali candidati è la funzione
mitocondriale, anello di congiunzione di molti processi fisiologici. Non dobbiamo pensare
al mitocondrio solo come all’organulo deputato a produrre energia nella cellula: il suo ruolo
è molto più articolato e integrato in tutto il metabolismo cellulare. Basti pensare a come
questo organello sia coinvolto nei segnali intracellulari del Ca2+, nella generazione di
radicali liberi, nell’apoptosi e nella regolazione dell’immunità innata e adattativa. [9-10] Il
mitocondrio, inoltre, ha un ruolo fondamentale nel sistema nervoso dove avviene la più
grande richiesta di ATP per mantenere il gradiente ionico ai capi delle membrane cellulari
eccitabili e dove l’organello è fondamentale in diversi aspetti dello sviluppo neuronale e
plasticità sinaptica.[11-12] Non ci deve quindi sorprendere che nell’ultima decade molto
spazio sia stato concesso alla ricerca scientifica a supporto di un coinvolgimento della
disfunzione mitocondriale nell’eziologia dell’Asd. [13-15] La prevalenza di disfunzioni
mitocondriali negli affetti da Asd è circa 500 volte più alta rispetto alla popolazione
generale. Inoltre, diversi gruppi di ricerca hanno individuato nello stress ossidativo uno dei
principali attori per l’eziopatogenesi dello spettro autistico. Lo stress ossidativo porta alla
secrezione di molecole vasoattive e pro-infiammatorie che inducono infiammazione
neuronale, fenomeno alla base di molte patologie mentali come schizofrenia, disordine
bipolare, Alzheimer, etc. Ma lo stress ossidativo altro non è che uno squilibrio dovuto da
un’aumentata produzione di specie pro-ossidanti e/o diminuita capacità antiossidante, non
a caso, per esempio, la capacità ossidoriduttiva del glutatione nei pazienti autistici è molto
ridotta [16]. Lo stress ossidativo può essere studiato valutando pannelli di diversi
marcatori tra cui residui di acidi grassi polinsanturi (PUFA) che giocano un ruolo
importante nello sviluppo neuronale, nell’espressione e funzionamento di canali ionici e
recettori. In uno studio molto interessante, e tutto italiano, sono stati valutati diversi
parametri legati allo stress ossidativo su un gruppo di 48 bambini autistici ed è emerso che
in questi soggetti alcuni parametri legati specificatamente alla perossidazione lipidica
risultavano di molto aumentati indicando uno squilibrio nell’assetto degli acidi grassi di
membrana [17].
La dieta chetogenica è una dieta ricca in grassi, povera in carboidrati e con un apporto di
proteine nei range della normalità. E’ ben conosciuta come trattamento non farmacologico
per l’epilessia farmacoresistente da quasi cento anni [18]. Più recentemente si sta
iniziando ad indagare sulla sua efficacia anche in altre tipologie di patologie neurologiche
come emicrania, cefalea, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, disordini del sonno e
cancro al cervello [19-20] . Sono diversi i meccanismi attraverso i quali la dieta
chetogenica può apportare neuroprotezione. Una volta in chetosi si assiste all’aumento
della produzione di corpi chetonici da parte del fegato attraverso l’ossidazione degli acidi
grassi e alla riduzione dei livelli di glucosio ematico. I corpi chetonici hanno loro stessi
proprietà neuroprotettive perché sono in grado di migliorare la capacità energetica delle
cellule aumentando i livelli di ATP e riducendo la produzione di ROS (radicali liberi
composti di Ossigeno) agendo sulla funzionalità e biogenesi mitocondriale [21-22]. In
pratica i mitocondri funzionano meglio e lo stress ossidativo diminuisce riducendo così
l’attività di fattori apoptotici e inibendo mediatori infiammatori come interleuchine e TNFalfa
[23]. La dieta chetogenica, in aggiunta, modula il metabolismo dell’acido gamma butirrico
(GABA), dell’acetilcolina – due neurotrasmettitori importanti nel sistema nervoso centrale –
e delle purine (ATP e adenosina) che hanno un ruolo neuromodulatorio pleiotropico
[24-26]. E’ logico quindi ipotizzare che una dieta chetogenica che, come abbiamo visto, è
in grado di apportare numerosi effetti neuroprotettivi attraverso la modulazione del
funzionamento mitocondriale e di alcune vie metaboliche, possa esser di supporto per
individui autistici. Attualmente i dati a riguardo sono pochi, molti sono Case Reports ma il
trend indica che spesso i ricercatori hanno assistito a un miglioramento di diversi parametri
considerati sulla base della CARS (Childhood Autism Rating Scale). In diversi lavori che
ho avuto il piacere di leggere i pazienti, spesso giovani ragazzi o bambini, sono stati
introdotti alla dieta chetogenica perché presentavano in comorbilità all’autismo anche
episodi di epilessia [27]. Il trattamento dietetico ha in molti casi non solo permesso di
diminuire le crisi epilettiche ma anche di migliorare il funzionamento cognitivo e
comportamentale [28]. E’ indubbia la necessità di rendere i dati più solidi attraverso una
ricerca scientifica mirata ma credo che le premesse siano confortanti. Negli anni passati,
una delle proposte dietetiche su cui parte delle linee di ricerca sull’autismo si erano
concentrate prevedeva la somministrazione di diete prive di glutine e caseine [29],
proteine ritenute in grado di indurre un’eccessiva attività oppioide nei soggetti autistici. Ma
è recente la pubblicazione di una review che non supporta l’efficienza di questi trattamenti
[30]. La dieta chetogenica, al contrario, potrebbe, attraverso la sua capacità modulatoria e
antinfiammatoria, essere uno strumento valido per trattare o almeno coadiuvare
efficacemente i trattamenti per questa patologia. E’ certo che l’indicazione è quella della
massima cautela e di testare dietoterapie chetogeniche classiche ma anche protocolli
meno rigidi, come già avvenuto in alcuni Case Reports [27]: diete MAD o LGID, che
facilitano la compliance del paziente essendo spesso individui, che per la particolarità
della patologia, possono presentare una certa difficoltà a discostarsi dalle proprie e
personalissime scelte alimentari. Sarebbe altresì interessante valutare la
somministrazione di dietoterapie chetogeniche che presentino una scelta ben precisa della
natura e dei rapporti saturi-insaturi somministrati, visto che da un lato la distribuzione degli
acidi grassi di membrana sembra essere un promettente strumento diagnostico [17, 31] legato alla natura intrinseca della patologia stessa e dall’altro alcuni dati sottolineano
l’importanza di un apporto mirato di Omega 3 come ulteriore trattamento non
farmacologico auspicabile [28].
Dr.ssa Pollyanna Zamburlin, PhD Neuroscienze
Biologa Nutrizionista
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